Tradizione della campagna, creatività e un pizzico di ironia da Max Poggi nella sua ‘Cucina’

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Chi mi ha letto su queste pagine web o sulla rivista l’Albergo, rivolta al mondo dell’ospitalità, sa che visito cuochi che credono nel loro lavoro, che non bluffano e che raramente hanno raggiunto la fatidica stella o affine, pur essendo eccellenti professionisti. Mi stupisco ancora però di fronti a tanti responsabili e collaboratori di guide, divulgatori, critici e commentatori per il fatto che non riconoscano o non selezionino adeguatamente chi opera da tempo con serietà, qualità e risultati. Tra i molti casi ‘singolari’ di questa scarsa attenzione alle tradizioni dei territori c’è il caso emblematico di Massimiliano Poggi.

Questa volta il mio incontro avviene con uno chef che già conosco pur se non ho mai scritto di lui; riparo ad una mancanza e lo faccio in un ‘momento magico’ per l’esperto e fattivo cuoco bolognese non ancora cinquantenne, formatosi giovanissimo in vari locali e città delle Romagne, che da non molto tempo si è spostato nella periferia di Bologna, in un locale a Trebbo di Reno, già sede di un notissimo ristorante.

In una breve cronistoria del suo passato egli ama definirsi un cuoco a tutto tondo in quanto, pur rifacendosi alla sua bolognesità e quindi ai sapori di questa enclave della tradizione, non disdegna affatto preparare il pesce di mare, data la sua lunga formazione sulla costa romagnola. Sino a qualche anno fa era lo chef di Al Cambio – qui iniziò a soli 21 anni – e dove trovate solo piatti tradizionali, ben curati. Oggi la sua dimensione di chef e patròn si è completata con la gestione di tre locali: il primo dove si continua a proporre cucina del territorio e Vicolo Colombina, punto di riferimento per chi cerca una cucina genuina con un tocco di creatività a due passi da Piazza Maggiore, mentre Max conduce il Massimiliano Poggi Cucina e tiene anche incontri di successo nei quali spiega le sue attuali passioni. Il nuovo ristorante è una caratteristica casa rossa con giardino dell’ ‘800 bolognese, lungo il Reno; storica perché vi era un ristorante che fu tra i migliori 50 in Italia per vari anni.

“E’ un’eredità pesante però noi abbiamo preso una strada completamente diversa rispetto a quella che appartiene alla ‘maison’ da sempre, ci sta dando una grande soddisfazione – ci racconta Max prima di andare a tavola – il contesto è bello, noi siamo riusciti a dargli un senso anche dal punto di vista dell’ospitalità: sei in campagna, entri e mangi una ‘cucina di campagna’. Faccio un esempio: noi abbiamo i piatti che tu ti aspetti quando arrivi in una fattoria di campagna”…

Oggi quindi lo chef bolognese rivisita gli odori e i sapori della sua infanzia riproponendoli in chiave contemporanea, coadiuvato dal giovane sous-chef Marco Canelli. E questa contemporaneità non è casuale – la ritrovo anche nelle sale e sulle pareti del locale, a tinte grigie con macchie di colori giallo uovo – sono i fonoassorbenti antirumore – e anche questo è un punto raro quanto importante, in favore di chi ne ha avuta l’idea, apprezzato da chi va al ristorante per affari, per parlare con gli amici o con la donna che ama, senza frastuoni fastidiosi di sottofondo. Nelle altre sale è l’arte contemporanea alle pareti a creare un filrouge con i piatti e con l’adeguato storytelling del maitre Alessandro Cervi e della sommelier Elisa Paganelli, che presentano piatti e vini con giusta sobrietà, eleganza e competenza, cosa ahimè non comune anche in svariati ristoranti stellati.

Alla base delle sue esperienze Poggi ha sempre privilegiato la qualità dei prodotti ed oggi l’innovazione si collega splendidamente alla tradizione emiliana e romagnola tutta, con un po’ di ironia che questo chef sa mettere ma che il più delle volte non è di casa tra le star delle cucine… Sono piatti che sprigionano un mix di sapori ben dosati insieme, quindi emozioni!

Prima di degustarli puoi descriverci la filosofia che è alla base di questi piatti, innovativi sì ma di sostanza, con un forte legame col passato emiliano e romagnolo?

“C’è la grigliata di manzo e il tortellino burro e oro, che facciamo con un ripieno di salsa di pomodoro, lo condiamo con un burro al prezzemolo e con la ricotta. Questo per rafforzare il concetto di ‘oro’, che in realtà era semplicemente ‘burro e pomodoro’, sempre per essere sulla linea dell’ironico un po’ irriverente, però allo stesso tempo divertente. Ma abbiamo in menù lo stinco di maiale al forno, gli spaghetti con la cipolla, piatti che se tu vai in una trattoria di campagna ti aspetti in quel tipo di menù. E’ chiaro che noi riempiamo il piatto con idee e contenuti tecnici perché non si tratta solo d’una presentazione, ci vogliono anche tecniche moderne, lavorazione e quella giusta dose di irriverenza e ironia, che lo rende attuale”.

Dopo essere stato legato alla tradizioni delle romagne e del bolognese ora Poggi ha ritrovato, nella vita in campagna, un grande feeling per queste ricette che in Romagna o sull’Appennino ancora si possono trovare ed ora questa è la strada maestra che predilige e che lo distingue tra i tanti.

“In questo momento della mia carriera sono molto concentrato sulla cucina di campagna – prosegue il cuoco bolognese – poi come sempre faccio un po’ di cucina di mare perché sono cresciuto in Romagna professionalmente. Quello per cui i bolognesi mi conoscono è la rivisitazione dei sapori e delle ricette tradizionali, ripresentati in chiave moderna. Reinterpreto una cucina di tradizione con creatività e con un pizzico di ironia, non faccio cucina creativa a tutto tondo, non mi ispiro a creare un eccesso”.

Qual’ è quindi la predilezione di uno chef, attratto dalla ricerca e dalla riscoperta dei sapori dimenticati?

“Mi attirano molto le cotture primordiali, col carbone: le affumicature mi piacciono molto. Quasi tutte le carni le cuociamo così perché trovo che, dopo mille studi e applicazioni fatte sul forno e sulla padella, ho anche un’età per cui ho visto l’alternarsi di mode e di sistemi di cottura tendenzialmente di tendenza. Le cotture primordiali sono quelle nelle quali fai meno fatica a nascondere se manca tecnica o manca qualità della materia prima. Hai un pezzo di carne, hai del carbone: o la carne è buona e sei capace oppure è un bel problema… sono tornato a quel concetto di cucina”.

Un concetto che forse i solerti giudici della stellata Michelin o di altre Guide non apprezzano in quanto a Max è stata negata la stella. Un caso singolare, ma certo non il solo nel panorama italiano, però non si parli di clan… 

Ogni cuoco ha un piatto che predilige od una ricetta che, per qualsivoglia motivo, ha reso famoso il locale. Tu ora in quale ricetta ti identifichi maggiormente?

“Oggi potrebbe essere un piatto che è in menu da un anno, il filetto alla Rossini, ma giusto perché giochiamo molto sull’ironia. Immagina un ragazzo appassionato di cucina che ha un pezzo di carne di manzo e dice: <Anche io voglio fare un filetto alla Rossini> però non ha i tartufi, non ha il foie gras e deve arrangiarsi con ciò che ha! Per questo noi lavoriamo un topinambur, gli diamo le sembianze di un tartufo nero, lo tagliamo in modo che lo sembri, lo passiamo prima nella polvere nera e una volta cotto nella polvere al posto del foie gras prendiamo fegatini di pollo e di piccione e anziché il crostone di pane una fetta di rapa cotta alla piastra, croccante. E’ divertente perché di sapore è molto interessante, è un estratto di campagna e allo stresso tempo è ironico perché è la chiave povera della grandissima cucina internazionale. E’ un piatto che rispecchia molto quello che faccio, anche un po’ irriverente, però ci sta”.

Attualmente Massimiliano si è concentrato nella cucina naturale ma attenzione, non si tratta di seguire la corrente vegana che elimina certe componenti in cucina sostituendole con altre, lui vuole una cucina che sia, come lo era un tempo, “sincera e genuina”, quella che forse ancora si trova in certe campagne.

In cucina che prodotti utilizzi e a quali altri ti sei avvicinato da che sei nel nuovo locale?

“Adesso soprattutto le verdure: parto da una verdura di stagione e intorno cerco di costruire un piatto, comunque un ristorante in città è diverso anche come approccio: in città non hai l’abitudine a vivere la stagione come la vivresti in campagna, per cui lo sento molto di più. La mia filosofia di cucina si basa su tutti i prodotti: non ho grandi preclusioni per cui non ci sono quelli che amo maggiormente: io cerco di valorizzare un finocchio come posso valorizzare un porro, come cerco di farlo con una rapa o una patata. L’intento è ridare a ogni ingrediente la sua dignità, perché per anni ci hanno abituato all’idea che l’alta cucina si facesse solo con ingredienti costosi e rari. In realtà il cuoco deve comunque affrontare l’argomento dello spreco che è più che altro morale. Faccio un esempio, immaginiamo un foie gras che arriva dalla Francia: autostrada, asfalto, gasolio, inquinamento, gomme; anche solo il consumo ambientale che comporta rispetto a una rapa a km 0. Non disdegno il foie gras, al di là del km 0 che adesso va di moda, perché 20 anni fa non si comprava niente che non fosse una primizia fuori stagione. E’ proprio una questione di sentimento, non sono mai stato quello che ha seguito le mode o le tendenze”.

Leggo nel menu che hai riscoperto un piatto quale il ‘coniglio alla cacciatora’, oggi desueto…

“Si parte da una gamma di sapori super conosciuta, poi però mangi un piatto che ha tutta un’altra storia. Noi cerchiamo di fare un’esplosione di sapori curati e anche ben definiti, i miei piatti sono tutti paragonabili alla cucina della nonna. Qualcuno però mi dice: <Mia nonna il pollo alla cacciatora lo faceva diverso!> E meno male! Il nostro è diverso proprio perché è nostro!! Noi facciamo una salsa alla cacciatora con tutti gli scarti del pollo, poi cuociamo delle creste trifolate, aggiungiamo la salsa alla cacciatora e finiamo la cottura. Poi un purè di patate, funghi alla piastra e un pentolino di accompagnamento perché il pollo alla cacciatora si fa con la sovra coscia che mettiamo in uno spiedino di rosmarino, cuociamo al barbecue e il petto a vapore. Quindi facciamo una salsa di soffritto con sedano carota e cipolla con cui riempiamo il petto e una pralina di fegatini. Dunque è un piatto molto tecnico che richiede 25 lavorazioni, ed è estremamente divertente perché hai la coscia cotta nella polvere di funghi al barbecue e hai l’affumicatura, hai il petto al vapore quindi un sapore molto delicato, la pralina di fegato è un’esplosione, poi le creste sono da cacciatora vera, come quella della nonna! Ciò ti fa capire che dietro c’è uno studio di tutto l’animale in tutte le sue componenti. E’ un piatto che si chiude a tutto tondo, però tu leggi sul menu pollo alla cacciatora. Questa è la cucina che facciamo noi, una bella ricerca, assai impegnativa ma anche molto divertente, perché è oggi un filone che non persegue nessuno: campagna e tradizione. La cucina della nonna, quello che ti aspetti quando vai in un ristorante di campagna. Non è una cucina che piace a tutti ma comunque tutti d’accordo non si mettono”.

Molti si domandano perché le scelte delle guide sono troppo a senso unico, che ne pensi?

“È vero che siamo in un momento dove i talenti ci sono ma per come li sfruttiamo ci vorrebbero novità che non sono tante. È difficile trovare nuovi talenti tutti gli anni; prima c’era l’esigenza di raccontare solo il buono e non il nuovo, ma la novità è qualcosa che ha una durata limitata nel tempo, noi siamo andati incontro a questi tipi di situazioni, i talenti sono doti innate. Il critico fa un mestiere diverso dal mio, noi dobbiamo impegnarci per il cliente e non per la guida, quindi secondo me la guida per esigenze editoriali ha l’obbligo di mettere una serie di novità ogni anno che in realtà non ci sono, poi va a finire che i cuochi entrano nel mercato dell’editoria a livello di commerciabilità. A Bologna di bravi cuochi ce ne sono tanti ma non sono tutti talenti e non si deve per forza presentare l’avanguardia italiana a meno che uno non si impegna tanto ma a prescindere se ci fossero talenti emergerebbero”.

A tavola ho scoperto la sua nuova cucina fatta con amore, impegno e armonia; lo si percepisce dalla ricerca sulle erbe e sui sapori molteplici ma sempre saggiamente calibrati, senza che uno copra gli altri, armoniosi. Indubbiamente la sua insalata russa è un’esperienza, bella sia dall’occhio quanto al palato, tra caviale di trota, panna acida con rafano, anguilla affumicata, ecc. davvero un piatto affascinante, senza nulla togliere agli ‘spaghetti e Medicina’ che nasce dal desiderio di valorizzare un ingrediente della cucina di campagna bolognese: la cipolla di Medicina. Ma va menzionato il ‘carpaccio di baccalà’, il ‘porro bruciato’, il ‘maialino da latte arrosto’, ecc.

Quando si crea un piatto si parte da un’idea – conclude Massimilano – se l’idea riesci a metterla a fuoco bene mettendo gli ingredienti giusti, le dosi giuste, può diventare un grande piatto ma se si sbaglia anche solo un elemento il piatto non è particolare. Inizialmente l’insalata russa non riusciva, prima facevo un piatto che era un’insalata di rape all’agrodolce servita con della panna acida al rafano e finocchio e qualche seme di senape… Abbinavo il gin, un giorno non venne gradito. Lo assaggiammo e al posto del gin col mio socio esperto in abbbinamenti decidemmo di aggiungere la vodka: acidità, amarezza, intensità. Dopo abbiamo costruito un’insalata di verdure e siamo arrivati al piatto che spesso nasce da un errore tecnico.

Noi abbiamo una cucina tradizionale, territoriale, ma non in senso stretto. La territorialità può essere nel piatto, per esempio possiamo reinterpretare una pizza che non è tipica di Bologna, però aggiungiamo un connotato unico, deve avere prima della preparazione un’idea concentrandoci sul gusto e poi sulla presentazione elegante. All’analisi delle abitudini alimentari di campagna dicevamo: qual è la cosa che si mangia per terminare, prima del dolce? Si diceva sempre un pezzo di formaggio con frutta, marmellata, ecc. ma in realtà non è un connotato nostro. Per fare un piatto nostro abbiamo optato per un’insalata mista di rucola, sedano, parmigiano reggiano che, con abbinamenti e marinature calibrate, si ha questo piccolo boccone che è molto fresco e ripulisce il palato”.

Verissimo, lo posso testimoniare: un bocconcino concentrato che da una piacevole sensazione di freschezza prima di concludere con gelato e piccola pasticceria. Per un arrivederci a presto!

Info: Massimiliano Poggi Cucina, Via Lame, 65/67 – Trebbo di Reno – Bologna  www.mpoggi.it