Lasciata la medievale Palaia e gli ottimi vini di Usiglian del Vescovo, riprendo la scoperta della Valdera, splendido angolo di Toscana ricco di dolci colline e borghi medievali che spesso affondano le proprie radici nella civiltà etrusca. L’affascinante borgo di Villa Saletta, lasciato intatto dal tempo, mostra com’era in passato una grande tenuta agricola: il cuore è la piazza su cui si affacciano la chiesa, la villa padronale e un bel campanile con orologio, ai lati le abitazioni dei contadini da una parte, stalle e cantine dall’altra. Si ha netta la percezione del perché il mondo per moltissime famiglie non andasse oltre l’orizzonte delle colline.
A Forcoli, dall’alto dell’antico borgo (ora disabitato) il Castello che domina l’odierno paese è un esempio di ‘Castello Medievale’ in cui vivevano anche tutti i membri della Corte con le loro famiglie. Il beffardo spirito toscano ha tra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila dato notevole notorietà al borgo grazie al Concorso Nazionale Miss Cicciona d’Italia. Dopo un veloce sguardo alla bella fonte pubblica dai fregi rinascimentali, mi dirigo verso la vicina Montanelli per un incontro ravvicinato con il tartufo. Del tartufo si parla molto, ma spesso l’accento è posto solo sul valore economico: non è molto noto per esempio che le prime testimonianze scritte risalgono ai Sumeri (1700-1600 a.C.) i quali lo utilizzavano unendolo a orzo, ceci e lenticchie, che ne esistono oltre 90 tipologie di cui solo 9 sono edibili, che ciascuna si sviluppa in un territorio caratterizzato dalla presenza di piante con le cui radici il tartufo vive in simbiosi e che è un fungo ipogeo a forma di tubero e non un tubero come molti pensano. Per esempio il tartufo bianco, la specie più rara e famosa, vive in simbiosi con tigli, querce, salici, noccioli e pioppi.
La Valdera è tra le aree vocate a questo ‘cibo degli Dei’. Nella piccola frazione di Montanelli sorge una delle più belle realtà nazionali legate a questo fungo ipogeo: la Savini Tartufi. È una delle tante storie di volontà, serietà e genio che hanno fatto grande il nostro Paese. Nasce da Zelindo Savini e da una moto. La moto è una BSA 1000 che Zelindo ha acquistato con i risparmi accumulati vendendo tartufi, moto tanto ambita in quegli anni da suscitare l’invidia del ‘padrone’ che gli chiede di scegliere tra il lavoro e la moto: Zelindo con coraggio e preveggenza sceglie la moto. Compra a Montanelli un negozio di alimentari con bar e ne fa un punto d’incontro e riferimento per tartufai e cacciatori. Ora la Savini è un’azienda che ha affiancato ai freschi e profumati frutti della terra toscana (si raccolgono tutto l’anno essendo qui presenti il ‘bianco’ e tutte le principali varianti del ‘nero’) una serie di elaborazioni di alta qualità, fiore all’occhiello del Made in Italy.
L’incontro mi ha lasciato indimenticabili ricordi tra cui aver gustato emozioni a base tartufo e l’esperienza unica di vedere all’opera nel bosco il bravissimo cane. Lungo il percorso verso Terricciola (dove mi attendono vini che mi avevano incuriosito al Vinitaly 2019), s’impone una rapida occhiata a Peccioli, ameno paese medievale che per le qualità turistico-ambientali è ‘bandiera arancione’ del Touring Club Italiano. Anche se in una pergamena del 793 si cita un luogo ‘Pecciole’, la sua storia si fa iniziare con un documento del 1021 relativo a una donazione. Da non perdere Piazza del Popolo dove tra uno splendido loggiato, il Municipio e il palazzo Pretorio (di epoca medievale, oggi sede di un Museo di icone russe) si può ammirare la Pieve di San Verano edificata tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo in stile romanico-pisano. Originale il Parco Preistorico con la ricostruzione di dinosauri e altri animali coevi.
Pochi chilometri e sono a Terricciola la cui prima notizia risale al 1109 e riguarda la Pieve a Pava (ora Pieve de Pitti). L’urbanistica ne testimonia le origini medievali: nella parte alta notevole è la Chiesa di San Donato. Particolarità del borgo sono gli ‘ipogei’ (gallerie sotterranee) che lo attraversano e ne raccontano il passato etrusco così come il ritrovamento (nelle frazioni di Morrone e Soiana) di urne etrusche e tombe a camera ipogea. Gli ipogei (in fase di recupero) sono stati spesso utilizzati quali magazzini agricoli e cantine come avvenuto per il Complesso degli Ipogei del Belvedere (IV secolo a.C.) ora recuperato e visitabile dal pubblico che può ammirarvi anche una raccolta di cippi funerari etruschi. Da non perdere nella frazione di Morrone la Chiesa di San Bartolomeo, la Chiesa di Santa Maria (del 1152) e la Badia Camaldolese (XI secolo). Percorrendo una piacevole stradina fiancheggiata da cipressi – che richiamano quelli di carducciana memoria – raggiungo dopo circa tre chilometri la Fattoria di Fibbiano che sorge al culmine di un poggio soleggiato da cui l’occhio si perde nella splendida vegetazione e nelle sinuose colline all’orizzonte e scopro che insieme all’azienda vinicola vi è un agriturismo che spero mi permetta di godere più a lungo quest’angolo di Paradiso.
La tenuta (circa 90 ha) è solcata da stradine e sentieri che si snodano tra vigneti, uliveti, campi di erba medica e boschi. L’agriturismo realizzato in un casolare del 1707 completamente ristrutturato è avvolto da un’atmosfera magica emanata, forse, da due tombe ipogee (visitabili): l’umidità costante ed equilibrata potrebbe essere habitat perfetto per i pupitre dell’ottimo Morfeo. Con l’occasione (ero in epoca pre-covid) ho assaporato una splendida carne alla brace (la mia gola mi rimprovera ancora di non aver optato per il cinghiale in salmì, pare eccezionale) e altre specialità. Conoscenza della materia prima nelle sue diverse tipologie, della qualità e della loro importanza per la salute sono anche alla base dei corsi di cucina organizzati nell’agriturismo.
L’ottima esposizione dei vigneti e un terreno ricco di argilla e conchiglie marine hanno facilitato la scelta biologica e il produrre il vino senza troppi interventi umani conservando le caratteristiche dei vitigni coltivati – tutti rigorosamente autoctoni: Sangiovese, Sanforte, Sangiovese Polveroso, Canaiolo, Ciliegiolo e Colorino per i rossi, Vermentino e Colombana per i bianchi – che rappresentano “la storia, la voce, il respiro della terra” in cui per centinaia di anni sono cresciuti. Le piante madri sono state individuate in un vigneto aziendale di oltre cento anni (e quindi prefilossera). Aver scoperto a Vinitaly 2019 questa filosofia (“The real tuscan wine” la definiscono i fratelli Cantone) mi ha spinto ad approfondire la conoscenza di questa realtà che ha il coraggio di ignorare le mode.
L’incontro con i vini avviene nell’antica cantina (ora sala degustazione) e inizia con Fonte delle donne (uno dei due bianchi prodotti), un vino quasi sintesi della filosofia aziendale. Nella tenuta vi è, infatti, una sorgente con un’aura di mistero: secondo la leggenda le sue acque lattiginose fanno tornare il latte alle donne che non possono allattare, reminiscenza del culto pagano delle acque e della fertilità così radicato da sopravvivere fino a oggi nonostante l’editto di scomunica dell’Inquisizione di Pisa (1735). Fonte delle donne – blend al 50% di uve Vermentino e Colombana – è un ‘bianco’ fermo molto raffinato ed equilibrato sia nel coinvolgente bouquet che oltre a note agrumate presenta sentori di anice stellato e menta, sia nel sapore con note di erbe officinali e un’acidità che non incide sulla morbidezza ed esalta freschezza e persistenza.
La Colombana ha caratteristiche simili a quelle della Verdea (vitigno della Doc San Colombano). Alle uve di questo straordinario vitigno custode di una storia affascinante (le sue barbatelle sarebbero giunte a Peccioli portate da monaci seguaci di San Colombano) la tradizione attribuisce proprietà disintossicanti che si auspica siano rimaste anche nella Colombana in purezza. Speravo di assaggiarla in anteprima al Vinitaly, ma la nota pandemia mi ha tolto questa gioia. Mi intrigava molto assaggiare Morfeo, spumante metodo classico ottenuto da Sangiovese in purezza: finalmente bollicine di Sangiovese di livello fin dal bel rosa antico ramato e dal perlage finissimo, con un bouquet delicato e molto ricco (mela, susina, lampone con sentori agrumati) e un palato gradevolissimo per equilibrio e freschezza, morbido, fruttato, sapido e minerale. Ottimo come aperitivo, può affrontare brillantemente anche un pasto importante.
Dopo queste due chicche è il momento dei ‘rossi’: inizio dal Ciliegiolo vitigno per lunghi anni ‘spalla’ del Sangiovese nel Chianti. La Fattoria di Fibbiano ne offre una delle migliori interpretazioni: accattivante il rosso rubino intenso e luminoso e affascinante il complesso bouquet con note fruttate (ciliegia, amarena, lamponi e more) e sentori speziati e di cuoio. Eccezionale è la gamma di sensazioni offerte al palato: equilibrato e con una struttura ampia dai tannini gradevoli, vigoroso e con un’acidità contenuta, avvolgente e persistente. Un vino delizioso e galeotto essendo un invito a seguire l’antico detto “empi il bicchier che è vuoto e vuota il bicchier che è pieno”. Altro ‘rosso’ di notevole interesse è il Sanforte ottenuto dall’omonimo vitigno (conosciuto per decenni come clone del Sangiovese) progressivamente abbandonato essendo difficile e poco produttivo: vinificato e imbottigliato in purezza, ha riflessi granata ed è molto complesso al naso per le note di confetture e i sentori di spezie e cacao, mentre al palato è avvolgente, elegante, con una componente tannica resa armonica da accorgimenti naturali. Un vino importante e gradevole che mi piacerebbe gustare con del cinghiale, magari in salmì.
Ed eccoci al ‘Re di Fibbiano’: il Sangiovese presente in purezza o in blend in sei etichette. Considerata la gamma da assaggiare (e che in cantina è possibile testare in annate diverse), mi sono limitato ai Sangiovese in purezza. Eccomi quindi colloquiare con Ceppatella e Sofia. Sangiovese vinificato in rosa, Sofia ha un bouquet ricco e delicato con sentori di ciliegia ed è piacevole al palato per freschezza, sapidità, morbidezza e notevole persistenza. Ceppatella, ottenuto da uve del vigneto ultra centenario, è caratterizzato da un luminoso rubino intenso e un ampio bouquet balsamico e con note speziate. In bocca si rivela di buona struttura e acidità, fresco, sapido e persistente. Un vino che lega perfettamente con i semplici ma gustosi piatti della cucina toscana e che come tutti i vini dell’azienda invita al bis e…oltre. Prima di iniziare il ritorno devo accontentare la gola che aveva memorizzato il consiglio di sostare all’Azienda Agricola L’Avvenire. È un’azienda biodinamica che si propone di difendere la salute dei consumatori offrendo prodotti di alta qualità e apporto nutrizionale come i formaggi del caseificio aziendale in località Casanova. Freschi e stagionati, vaccini e pecorini sono vere chicche come l’erborinato, la ricotta al forno, i pecorini stagionati sotto la cenere o in grotta e quelli speziati sotto olio alle erbe… Una delle splendide realtà spesso conosciute più all’estero che in Italia come tanti borghi e cittadine ricchi d’arte e di storia rimasti esclusi dai soliti circuiti turistici. Una miniera di tesori che potrebbe recare nuova e copiosa linfa al turismo nazionale.