Si dice Auronzo di Cadore e si pensa alle Tre Cime di Lavaredo, alle trincee dove fu combattuta la prima guerra mondiale, a verdi pascoli e a un lago bellissimo, quello di Misurina. Ma questo paese di 3.200 abitanti, nel Bellunese, lungo circa 8 km, adagiato lungo la sponda sinistra del Lago di Santa Caterina, è molto di più: è la porta verso un tuffo nel passato e nella sua cultura, verso la scoperta di una gastronomia genuina, senza contare gli innumerevoli sport che si possono praticare, tra i più curiosi (nella bella stagione) il Fun Bob di Monte Agudo, che ha fama di essere il più lungo del mondo. Auronzo è circondato dalle vette più spettacolari delle Dolomiti: le Marmarole (2.131 m), il Monte Popera (3.046 m), i Cadini di Misurina, le Tre Cime di Lavaredo, il Monte Piana (2.324 m), il Sorapiss e il Monte Cristallo (3.221 m). Per arrivare alle Tre Cime in auto c’è una strada a pedaggio lunga 6 km, aperta fino al 15 novembre 2020 (30 Eu al giorno per l’auto), che porta al Rifugio Auronzo, da dove si dipartono i sentieri per chi vuole compiere il giro delle Tre Cime, ma anche soltanto percorrerne un tratto e poi ritornare al Rifugio Auronzo per un corroborante spuntino magari con spezzatino e funghi appena raccolti. I sentieri sono larghi e comodi, si incontra la chiesetta dedicata a Maria Ausiliatrice, poi si arriva alla forcella con le famose vette a troneggiare sopra di noi, guardando bene si scorgono alcuni ardimentosi che le scalano, forse cercando di emulare la prima ascesa alla Cima Grande compiuta il 21 agosto del 1869 dal viennese Paul Grohmann. Sulle Tre Cime sono moltissime le vie alpinistiche di qualunque grado, così come sono numerosi i sentieri che si dipartono dai tre rifugi – Locatelli, Auronzo, Lavaredo – adatti a tutti, per i più sportivi c’è l’escursione che dal Rifugio Auronzo porta al Rifugio Locatelli con una ferrata in vetta al Monte Paterno. Foto, selfie, l’andirivieni dei corvi fra terra e cielo, qualche nuvola, senso d’irrealtà e d’infinito.
Voglia di restare qui, seduti su una pietra, cercando di ascoltare il respiro delle rocce millenarie che chissà cosa hanno da raccontare. Ma altre e forse più forti emozioni ci attendono. Poco più a nord di Misurina, raggiungibile anche con servizio navetta, il Monte Piana (Monte Piano secondo la denominazione austriaca) fra scenari d’incomparabile bellezza trafitti dalle trincee, racconta la tragedia della Prima Guerra Mondiale, ed è un museo all’aperto. Guida d’eccezione è Antonella Fornari, mantovana che vive da anni a San Vito di Cadore, scrittrice e studiosa di storia locale, racconti di vita tra il quotidiano e l’eroico che lei raccoglie nei libri, da leggere il suo “Piccolo frutto rosso, frammento di pace” dedicato al Magg. Bosi Cav. Angelo, Ed. Grafica Sanvitese.
Si scarpina su sentieri un po’ ripidi ma agevoli, con una corona di montagne incantevoli intorno (Tre Cime di Lavaredo, Paterno, Cristallo, Cadini di Misurina) e diventa quasi difficile credere che in tanta bellezza si estese un fronte di 9.700 km. per una guerra iniziata nel 1915 e finita nel 1917 con la rotta di Caporetto: un anno prima della conclusione ufficiale, con l’ordine di lasciare le postazioni, “tutti a casa”. Italiani e austriaci, vicini di casa e compagni di bevute al bar, si uccisero tra loro: ci furono 4 combattimenti, poi per lo più fu una guerra di trincea, che causò 14.000 morti. Era sulla Forcella e il Vallone dei Castrati (così detto perché i pastori pusteresi portavano qui al pascolo i loro animali), che dividono in due l’altopiano con il monte Piana a sud e il monte Piano a nord, dov’era il confine tra Italia e Austria, stabilito da Maria Teresa d’Austria nel 1753 e ripristinato nel 1866.
La nostra guida ci conduce lungo i sentieri, e poi nelle trincee, niente di angusto ma come corridoi di pietra ad altezza d’uomo, a cielo aperto, difficile immaginare che ci si potesse sporgere per sparare al nemico davanti, sperando di non venire uccisi. Oggi ci si sporge per scattare una foto. Lo facciamo in silenzio, niente voglia di un selfie di gruppo, mentre in questo panorama di estrema bellezza aleggia fra noi l’interrogativo non risolto del perché di 14 mila giovani vite perse in quella guerra. Ma la storia di queste terre non è, fortunatamente, fatta solo di imprese belliche. Anche l’arte ci stupisce.
E’ una chicca nascosta e bellissima la Chiesetta di Sant’Orsola a Vigo di Cadore, gioiello datato 1.345 con affreschi di scuola giottesca e un altare ligneo del ‘500. Costruita per volontà di Ainardo da Vigo, allora podestà del Cadore, per conto della famiglia trevigiana dei Da Camino, vassalli del patriarca di Aquileia, ha dipinti che narrano una storia, o leggenda, al tempo popolare, quella di Sant’Orsola. Era figlia di un re di Bretagna, vissuta tra il IV e il V secolo, che dopo essersi segretamente consacrata a Dio e aver rifiutato le nozze con un principe pagano, raggiunse con un lungo pellegrinaggio assieme a undicimila compagne Roma dove incontrò Papa Ciriaco. Ma nel tornare in patria passando per Colonia la brigata delle numerose ragazze fu trucidata dai barbari di Attila, che voleva sposare la bella Orsola e che uccise poi al suo diniego. Da vedere è poi Lozzo di Cadore, coi suoi mulini antichi (per cereali, ma anche per un lanificio) e con il Museo della Latteria dove si ripercorre la storia locale del latte e della sua lavorazione e trasformazione in formaggio, fra il 1884 e il 1984. Altro museo, piccolo ma da non perdere, è quello di Padola, il Museo della Cultura Ladina, dove con oggetti, ma anche con la ricostruzione di ambienti e situazioni di un tempo, si rivive un’atmosfera lontana, fatta di piccole cose che affascinano i più giovani che non le hanno mai viste, e i più “grandi” che ritrovano in qualche oggetto il ricordo di una lontana infanzia.
Una sempre gradita sosta a tavola
La gastronomia di questi luoghi ha due fiori all’occhiello, ovvero due malghe, Malga Maraia (dal Lago di Misurina in seggiovia si arriva al Col de Varda, poi con una bellissima passeggiata di due ore 2 ore la si raggiunge fra boschi di larice, pino mugo e barancio e mucche al pascolo) e Malga Popena (si trova sulla strada Regionale 49 fra Misurina e Carbonin, 3 km. da Misurina). Sono entrambe gestite dalla Cooperativa Agricola Auronzo Val d’Ansei, restaurate fra il 2016 e il 2019, le accomuna il look moderno e caldo, e vantano una cucina della tradizione semplicemente ottima. Entrambe le malghe rappresentano la volontà di dare un nuovo futuro alle economie di montagna, sempre più colpite da spopolamento e invecchiamento della popolazione. Con il recupero di Malga Maraia, un vecchio edificio in pietra a 1.696 metri d’altitudine, sono stati creati 17 nuovi posti di lavoro, che sono diventati 30 con l’apertura di Malga Popena. Prodotti locali, formaggi e salumi ottimi, e in cucina chef dalle mani d’oro. A Malga Maraia è Tommaso Valvassoi a portare in tavola i sapori locali, come gli gnocchi di patate con burro fuso e ricotta affumicata oppure con le ortiche e fonduta di formaggio. Ci sono poi proposte sostanziose come il “pentolino” (patate, speck, uova e formaggio fuso) e il Piatto del malgaro (salsiccia formaggio, polenta e funghi).
I dolci che concludono il pranzo non sono solo il classico strudel di mele, ma anche il dolce con cioccolato e panna. A Malga Popena lo chef Denys Follador vizia il palato con salumi e formaggi locali, poi primi altrettanto tipici (ottimi i casunzei, i raviolini alle rape rosse condite con burro fuso e semi di papavero). Particolari e abbondanti le crespelle, una sorta di fagottini con radicchio e speck, e una sorpresa gustosa è il pentolino con crauti, speck e mele verdi. Per finire, dolci… in verticale, come la Foresta Nera e la Sacher Bianca, quasi piccoli monumenti alla golosità. A malga Popena si possono acquistare anche prodotti locali, come miele, marmellate, speck, pancetta, formaggi (Comelico, Panarello fresco), davvero molto buoni. Come si sono attrezzate queste malghe in tempo di Covid-19? Mascherine obbligatorie, gel disinfettanti dappertutto, tavoli distanziati e, a Malga Maraia, separatori di vetro mobili, da mettere fra i tavoli all’occorrenza, per creare una barriera sanitaria esteticamente non invasiva.
Anche negli alberghi le norme anti covid-19 sono rispettate, ad esempio nell’Hotel Centrale, nel cuore di Auronzo, alla reception si mostra il documento che viene fotografato (quindi non c’è nessuno contatto personale) e negli spazi comuni l’accensione delle luci avviene automaticamente, senza necessità di toccare un interruttore. Ma le norme anti covid-19 non impediscono una buona colazione, vanto di quest’albergo. Colazione con freschi croissants vuoti o ripieni con crema o marmellata di albicocca, torte fatte in casa, cereali e muesli con la frutta, cornflakes, fette biscottate da accompagnare con le marmellate genuine di fragole, pere, albicocche, ciliegie, miele…
E ancora salumi e proposte salate. Tutto in bella mostra al buffet, separato da un nastro dal cliente, che sceglie servito da un cameriere, e poi si porta al tavolo il goloso piatto. Idem alla sera, quando a cena funziona nello stesso modo l’abbondante buffet degli antipasti di verdure. E in tavola, olio aceto e sale sono in confezioni monodose, forse si rinuncia un poco al gusto ma l’igiene è salva.
Infine, il Museo “Cultura Ladina” di Padola ci mostra materiali ed attrezzi messi a disposizione per lo più dalle famiglie del paese. Questo Museo della cultura alpina può insegnare a riflettere ed a valutare la vita dei nostri predecessori, la capacità, l’impegno, la custodia, l’uso dei loro, anche se piccoli, patrimoni; la forza di volontà per poter mantenere intatti quei valori acquisiti con tanti sacrifici e privazioni. Al suo interno il museo è suddiviso in aree, che affrontano in modo specifico temi quali : le abitazioni, l’agricoltura, l’emigrazione, i reperti bellici, le guide alpine, le maschere, i lavori boschivi e tanto ancora.
Info: Consorzio promozione turistica Trecimedolomiti, tel. 0435.99603 – info@auronzomisurina.it – www.auronzomisurina.it