Un salto nel tempo per scoprire Parigi, protagonista sempre spumeggiante, seria, serena, allegra, spensierata, scanzonata… e nel contempo misteriosa, conturbante, ambigua, violenta, triste… e comunque profondamente umana colta nel vivace e faticoso periodo tra le due guerre del ‘900 dall’Occhio attento, vigile e sensibile e dal cuore innamorato e ammaliato di Brassaï. Pseudonimo del fotografo, disegnatore, pittore, giornalista, cineasta ungherese naturalizzato francese Gyula Halász, Brassaï nasce nel 1899 durante l’impero austroungarico, a Brassó (da cui deriva Brassaï, cioè “di Brassó” a evidenziare l’importanza e il legame con le sue radici), cittadina medievale dei Carpazi divenuta Brașov quando dopo la prima guerra mondiale passa dall’Ungheria alla Romania.
Nel 1924, lui che ha conosciuto Parigi a quattro anni quando vi ha vissuto per dodici mesi (avendo il padre insegnante di francese scelto tale città per un anno sabbatico) elegge come seconda patria proprio la Ville Lumière degli “anni folli”, ospitale e ricca di promesse per tutti. Scompare a Beaulieu-sur-Mer in Costa Azzurra nel 1984.
Per carpire le molteplici sfaccettature e gli angoli più reconditi di questa composita città-diamante Brassaï impenitente nottambulo (di giorno scrive articoli e rubriche per giornali ungheresi e tedeschi) macina instancabile chilometri a piedi con una macchina fotografica (prima una Voigtländer Bergheil, poi una Rolleiflex) su treppiede, preziosa compagna grazie a cui ha regalato a sé stesso e ai posteri un’inestimabile miniera di “tesori” che stampa rigorosamente da solo. Da questi Philippe Ribeyrolles, nipote e studioso, ne ha scelti 220 oltre a sculture, disegni e oggetti personali per la preziosa retrospettiva Brassaï L’Occhio di Parigi ospitata a Palazzo Reale a Milano fino al 2 giugno 2024. Se Brassaï è un affascinante e poliedrico personaggio dalla vivissima intelligenza, dai molteplici interessi e dalla forte personalità, innamorato della vita, autodidatta della fotografia, molto colto e amante della quotidianità che sublima come si evince dalla visita alla mostra, non è da meno il nipote, figura di primo piano e dotato di grande carisma e capacità empatica.
Durante la presentazione, Philippe è riuscito con estrema semplicità a “prendere per mano” alcuni che lo hanno seguito e li ha affidati a quelle dello zio creando emozionanti ponti ideali tra passato, presente e futuro. Per ogni stampa un racconto attraverso ricordi, situazioni e uomini e chi l’ha seguito è uscito a fine mostra portandoli tutti in Piazza Duomo così vividi da risultare difficile staccarsene.
Le sezioni non cronologiche, ma tematiche offrono un quadro variegato dell’esperienza di Brassaï che dimostra la sua capacità di sentirsi a suo agio in tutti gli ambienti passando dalle balere all’Opéra, ai ristoranti, bar, locali per travestiti…con una sempre sapiente interazione tra soggetti fotografati e l’ambiente per esempio usando gli specchi che gli permettono di associare con dinamici giochi inquadrature reali e riflesse. Scorrono Gli inizi, Parigi di giorno, Parigi di notte, Parigi segreta (che penetra nell’universo marginale e infido degli esclusi e dei malviventi con cui stabilisce rapporti a volte rischiosi), Parigi delle case delle illusioni (delicata perifrasi per i bordelli parigini le cui “colonne” definisce “belle di notte” o “figlie della notte mentre “avventure di una sera” qualifica la presenza di una risma di frequentatori non proprio virtuosi. Molto interessante e inusuale il mondo dei Graffiti , quasi una scienza nuova che rende Brassaï decodificatore di quello che chiama “Il linguaggio del muro” che cerca di salvare dall’oblio e dall’usura del tempo e classifica in base a nove categorie basandosi sulla forma dei disegni: per la prima volta sono presentati alcuni “Graffiti storici”.
Brassaï è particolarmente attratto dal corpo femminile e dalle sue armoniose rotondità come dimostrano i corpi fotografati, disegnati o scolpiti con naturale sensualità non ostentata nella sezione Nudo: dal realismo al mondo onirico. Con altrettanta semplice e raffinata naturalezza si rapporta con il mondo della moda e della mondanità con cui lavora e collabora per più anni. Numerosi poi gli artisti e intellettuali parigini famosi da lui fotografati: Léger, Braque, Miró, Prévert, Matisse, Giacometti, Dalí… con ciascuno stabilisce rapporti e con alcuni legami forti e duraturi come con Picasso con cui emergono interessi comuni per l’atmosfera libera delle Folies Bergère e per quella misteriosamente vertiginosa del circo.
Non mancano dolci e teneri ritratti di bimbi, testimonianze di mestieri ormai perduti come Il lampionaio a gas e di vestigia antiche della “sua” Parigi che teme stiano per scomparire. In una mostra così eclettica e attrattiva è d’obbligo fermarsi di fronte a ciascuna foto ammirandola con l’attenzione che si riserva a un capolavoro: si lascia quindi a ciascun visitatore entrare in sintonia con le stampe per cui prova emozioni.
Sia concessa un’importante considerazione sull’ Autoritratto in Boulevard Blanqui (1931-1932) in cui si vede Brassa ï che fuma una sigaretta – come si tramanda – una dietro l’altra per calcolare il tempo di esposizione allo scopo di catturare la scarsa luce notturna, azione non facile quasi al buio con fonti luminose deboli quali i fari delle auto, gli ugelli del gas o persino l’eventuale presenza di neve o nebbia… anni luce rispetto ai moderni mezzi fotografici che con l’eccesso di tecnologie quasi ostacolano la creatività!
Per ulteriori approfondimenti e una piacevolissima lettura vale veramente la pena leggere il catalogo-romanzo edito da Silvana Editoriale.