
George Romney, Emma Hart come Circe 1782, Waddesdon, Rothschild Family
A metà ‘700, cosa può avere sedotto un inglese giunto dalle bigie brume locali ai vivaci e incomparabili colori della magica Napoli, antichissima città connotata da infiniti sfumature che ne rilevano le tinte brillanti, il calore dei suoi abitanti forgiati dal sole e dal mare frequentato nei secoli, il Vesuvio bizzoso, castelli, chiese, palazzi e una storia dinamica e vivace tra rispetto per la tradizione e ricerca di innovazione grazie ai lumi della ragione tanto da essere modello e punto di riferimento per l’Europa del tempo? Questi e altri aspetti devono avere colpito Sir William Hamilton (Henley-on-Thames 1730-Londra 1803) vissuto dal 1764 al 1798 nella città partenopea (tappa irrinunciabile del Grand Tour) insieme alla moglie Catherine Barlow (sposata nel 1758 e spirata nel 1782) e poi a Emma Hart (Neston 1765-Calais 1815, il vero nome è Emily Lyon), sposata nel 1791, femme fatale inglese, giovane, bella, vivace (tanto da colpire anche Goethe), capace di creare intorno a sé una mitografia, ma incapace di gestire la confusa e rovinosa vita successiva. La carica di Sir William è di grande prestigio: ambasciatore della monarchia inglese presso la corte di Ferdinando IV di Borbone e della consorte Maria Carolina d’Austria (figlia dell’imperatrice Maria Teresa), ma la sua personalità avida di curiosità e le sue qualità intellettuali e umane lo favoriscono tanto che s’inserisce con successo nella società dell’epoca in cui spirano venti illuministi dei quali diviene figura di punta e di riferimento sia a Napoli, sia a Londra, anche per la mondanità.

Angelica Kauffmann, Ritratto di Maria Carolina d’Austria, 1782-1783 © Vorarlberg museum, Markus Tretter
Un esempio di come in ogni tempo l’arricchimento – anche grazie a culture diverse dalla propria – renda una persona affascinante, carismatica e positiva per il contesto sociale: Dio sa quanto personaggi di tal fatta potrebbero essere di grande impatto per estirpare oggi l’ignorante arroganza di chi si sente potente solo perché possiede molto denaro o lotta strenuamente per ottenerlo.
Di questa versatile figura che ha vivacizzato l’esuberante contesto partenopeo racconta fino al 2 marzo 2025 la vivace e dinamica mostra Sir William e Lady Hamilton nella sede delle Gallerie d’Italia (braccio museale e culturale di Banca Intesa Sanpaolo) a Napoli in via Toledo 177.
Realizzata con il sostegno dell’Ambasciata Britannica a Roma e di quella Italiana a Londra e con il patrocinio del Comune di Napoli e dell’Università Federico II, l’esposizione – curata da Francesco Leone e Fernando Mazzocca – attraverso settantotto opere tra dipinti, sculture, ceramiche e manifatture (provenienti da importanti Musei, Collezioni e Gallerie nazionali e internazionali), rifacendosi agli studi approfonditi di Carlo Knight (Napoli 1929 – Capri 2024) e all’importante mostra al British Museum del 1996 su William Hamilton, collezionista di antichità, riconsidera la sua figura in toto anche quale diplomatico e studioso, valorizzandone la capacità di fare conoscere la nostra cultura.
Figlio di Lord Archibald Hamilton e “fratello di latte” del re Giorgio III d’Inghilterra, sceglie Napoli per la salute cagionevole della moglie Catherine, per la passione per l’arte, l’archeologia e per gli studi di vulcanologia, grazie anche a Bernardo Tanucci, potente Segretario di Stato del sovrano partenopeo, che ne intuisce la valenza nell’ambito della politica internazionale, vi resta per circa sette lustri.
La mostra, organizzata in sette sezioni, rende la poliedricità partenopea di cui si respira l’atmosfera e racconta la pluralità degli interessi del Nostro che trovano riscontro nella ricchezza di stimoli offerti dall’ambiente.

George Romney, Sir William Hamilton, 1783 © National Gallery of Art, Washington
Nell’incipit sono esposti ritratti di “Sir William Hamilton. Un protagonista tra Londra e Napoli”: Sir Joshua Reynolds lo raffigura nel 1776-1777 come ordinatogli dal committente: seduto e pensoso all’interno di Palazzo Sessa (sua residenza ufficiale), a Pizzofalcone, 8 tra le sue amate carte e alcuni vasi venduti al British Museum (cui regalerà questo quadro) e sullo sfondo l’intrigante Vesuvio fumante. George Ramney nel 1783 ne dà una dimensione più intima esaltando i bei tratti, lo sguardo pensoso, quasi sognante e penetrante e il naso aquilino (quadro icona della mostra).
In “Dalla residenza di Hamilton: vedute su Napoli e il golfo” emerge come il diplomatico abbia incentivato il rinnovamento della veduta e del paesaggio favorendo artisti come Pietro Fabris e il genero Saverio della Gatta che, anticipando la pittura “Sul posto” (il plein air dell’800), usano la terrazza ad angolo di Palazzo Sessa da cui si gode di un panorama unico come asserisce Goethe e come mostrano i quadri presenti in mostra, alcuni anche di Thomas Jones e di John Robert Cozens.

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Emma come Sibilla , 1788 circa © Klassik Stiftung Weimar, Museen, foto: Alexander Burzik
“Emma Hamilton. Metamorfosi di una donna leggendaria” racconta come molti artisti ammaliati dal suo grande fascino l’abbiano resa all’epoca la donna più raffigurata in personaggi della mitologia greca e in altri in virtù alla sua duttile capacità espressiva: splendida di George Romney Emma Hart come filatrice (1784-1785). Emma sfrutta tale dote nelle “attitudini”, seducenti pose assunte nei tableaux vivants che la rendono famosa. Saranno la letteratura e il cinema a crearne una leggenda per la controversa relazione con Nelson in un discusso ménage a tre.
“La passione e il gusto dell’antico tra archeologia e manifatture” sono confermati dal giudizio di Goethe che definisce Sir William “uomo di gusti universali” per la sua passione di raccogliere oggetti artistici e carabattole salvo per i vasi greci per cui mostra competenza e ammirazione per la loro bellezza: in due anni ne raccoglie settecentotrenta cedendoli al British Museum convinto della loro utilità. Per questo pubblica Antiquités étrusques, grecques et romaines, quattro volumi illustrati – i più belli di tutti i tempi – preziosi per i lavoratori di ceramiche, porcellane, vasi in argento, rame, vetro… e usati dalla manifattura di porcellane Wedgwood per le loro produzioni, tra cui quella a figure bianche su fondo azzurro. Raccolta una seconda collezione più bella della prima, fa uscire altri quattro volumi più economici dei precedenti, ma va perduta quasi tutta nel naufragio della nave che la porta in Inghilterra.

Joseph Wright of Derby, Il Vesuvio in eruzione con le isole del golfo di Napoli , 1776-1780 circa © Tate, Londra
Di grande attualità all’epoca “Le scoperte di Pompei e di Paestum”. Napoli è intrisa di memorie antiche, ma gli scavi di Ercolano (1738) e Pompei (1748), sepolte nel 79 d.C., disvelano una vita quotidiana diversa rispetto a quella tramandata, modificando le conoscenze artistiche sulla romanità grazie a reperti salvati, riprodotti e pubblicati in otto volumi che incrementano studi, ricerca e attività di vedutisti. Costoro si attivano anche a Paestum invasa da paludi e vegetazione quando nel 1750 la località rivela intatte rovine di templi dorici, divenuti accessibili dopo la bonifica e la costruzione di una strada.
“L’esplorazione del Vesuvio e dei Campi Flegrei”: l’eruzione del 1765 trasforma Hamilton in un reporter che sale sul Vesuvio e visita sistematicamente i Campi Flegrei, le Eolie e l’Etna annotando le sue osservazioni su lettere da leggere al pubblico alla Royal Society di Londra. Raccolte in un volume, mancano di illustrazioni per cui il Nostro le commissiona a Pietro Fabris che produce sessanta dipinti colorati a gouache e acquerello. Tutte hanno contribuito a superare le antiche teorie animistiche con la moderna vulcanologia che chiarisce come le eruzioni rappresentino un atto rigenerativo e non distruttivo del pianeta terra. Anche Joseph Wright of Derby guarda il Vesuvio con gli occhi della scienza e di un visionario delle tenebre come si evince da Il Vesuvio in eruzione con le isole del golfo di Napoli (1776-1780 ca.) con il vulcano incandescente che si contrappone alla fredda luce lunare.

Angelica Kauffmann, Ritratto di Ferdinando IV di Borbone, 1782-1783 © Vorarlberg museum, Markus Tretter
La mostra si chiude con la trionfale “La corte e la società”: la prima rappresentata dai ritratti stupendi di Angelica Kauffmann e da un gruppo in biscuit di Filippo Tagliolini con il Ritratto della famiglia reale di Napoli (1783 ca.). L’indomito Sir William è l’ago della bilancia culturale di Napoli e sa procurarsi e godere dei piaceri della vita: musica, mare, nuoto e caccia, passione questa condivisa con il re Ferdinando IV, “re piccirillo”, “re di cartone” tanto amante dell’arte venatoria da avere ventisette “canettieri”, personaggi importanti incaricati di curare, istruire e guidare i cani come mostra il Ritratto del canettiere di corte Gennaro Rossi con cani e cinghiali (1784) del pittore moravo Martin Ferdinand Quadal che li dipinge con maestria tale da sembrare che stiano per uscire dal quadro.
Ricca di molteplici stimoli che rispecchiano il personaggio e l’epoca, la mostra va delibata con levità: sta ai visitatori scegliere tra i molteplici interessi quelli in sintonia con il proprio io in modo da entrare in medias res conservandone ricordi indelebili.
Immagine di apertura: Jacob-Philippe Hackert, Paisaje con el Palacio de Caserta y el Vesubio, 1973 © Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid