Infine il 1° maggio come da copione la grande nave di Expo 2015 è salpata. L’esercito degli espositori e degli addetti varcando i cancelli forse non si è reso conto di vivere un tipico miracolo del nostro Paese: raggiungere il traguardo anche se con il fiatone non tanto e non solo per le difficoltà oggettive, quanto per dover superare e vincere quel senso di scetticismo che molto spesso caratterizza l’atteggiamento di chi ritiene che essere intelligenti (o apparire tali) significhi fare in continuo critiche distruttive. È vero che le critiche sono alla base di ogni miglioramento, ma devono essere propositive (sono molto più difficili e danno molto meno popolarità). Resta l’amarezza verso una classe dirigente che in parte non ha saputo per tempo evitare che un gruppetto di manigoldi infangasse l’immagine del Paese e il serio, onesto e duro lavoro dei tanti (dalle maestranze ai dirigenti) che hanno creduto e si sono ‘fatti in quattro’ per vincere questa scommessa che non riguardava una città o una filosofia politica o economica, ma l’immagine del Paese in un momento in cui ogni incrinatura può essere dannosissima.
Non si può quindi parlare di Expo 2015 senza ringraziare quanti l’hanno salvata e hanno impedito (o almeno ostacolato) che gli illegittimi interessi di pochi danneggiassero la collettività. Mentre l’intelligenza celebrava il suo trionfo con l’apertura della manifestazione, nel centro di Milano l’idiozia di pochi senza alcun credo politico se non la violenza ‘giocava’ alla guerra contro le Forze dell’Ordine (in altri secoli sarebbero forse stati mercenari o lanzichenecchi e avrebbero giocato sul serio alla guerra) infangando le pur legittime (anche se tardive e quindi inutili) manifestazioni di dissenso nei riguardi di Expo 2015. È anche lecito, infatti, pensare (ignorando che nutrire il mondo è ‘a monte’ un problema di diffusione della cultura dell’alimentazione) che gli ingenti capitali impegnati avrebbero potuto sfamare pro tempore migliaia di persone, ma il dissenso per avere qualche utilità avrebbe dovuto manifestarsi nella fase di avvio dell’operazione espositiva e non in coincidenza della sua apertura. Ora cui prodest? Sembra tanto un’autoassoluzione.
Arrivando al quartiere espositivo con la linea rossa della metropolitana (l’Atm sta fornendo un servizio veramente ottimo, si potrebbe dire eccezionale considerando le necessità di bilancio. Speriamo continui anche dopo ottobre) dalla passerella di collegamento con la biglietteria si gode una prima fantastica panoramica di questa città con i suoi variegati tetti sorta come d’incanto là dove regnava il nulla.
L’architettura dei padiglioni è un primo inno all’umana creatività e ovviamente in molti casi a quella italiana che risplende per l’intelligenza e l’audacia delle soluzioni adottate. Un album dedicato alle strutture delle singole Nazioni e alla relativa filosofia sarebbe un modo per non far disperdere per sempre dopo il 31 ottobre questa città che ha il sapore di una fiaba.E se è già certo che alcuni padiglioni (Monaco, Svizzera…) verranno riutilizzati in altre aree per nobili progetti, si auspica che le strutture fisse non incontrino lo stesso triste destino di abbandono o sottoutilizzo che troppo spesso in passato ha caratterizzato edifici costruiti ad hoc per manifestazioni straordinarie.
Un’ottima urbanistica interna al quartiere permette di muoversi razionalmente (gli addetti alle informazioni sono comunque numerosi e preparati) e le singole Nazioni sono facilmente raggiungibili. Ci saranno tempo e occasione per parlare delle partecipazioni più significative dopo aver visitato più dettagliatamente esposizione e padiglioni: i primi contatti permettono comunque di dire che il tema “Nutrire il Pianeta” è stato declinato in modo diverso, ma sempre efficace da tutti i Paesi visitati che spesso hanno inserito aree coltivate a orto anche con valenza didattica come per esempio la Spagna. Aree che fra qualche mese saranno certamente più rigogliose rendendo sempre nuova con il loro crescere l’immagine.
Soprattutto occorre riconoscere agli organizzatori la capacità di essere sfuggiti al doppio pericolo-tentazione: l’eccesso di filosofia dell’orto e della terra produttrice e la mostra di prodotti alimentari: non che questi non siano presenti (sarebbe stata una grave omissione), ma sono contenuti in appositi corner e soprattutto non incidono sull’immagine di Expo che non è una mostra di business alimentare, ma è – come deve essere un’Esposizione Universale – uno splendido discorso culturale.
In quest’ottica ben vengano le numerose scolaresche e i moltissimi giovani che insieme agli stranieri hanno popolato le prime giornate della manifestazione. L’auspicio è che gli insegnanti abbiano con accortezza preparato le visite contattando preventivamente gli stand da visitare (molti Paesi hanno un calendario di laboratori, alcuni specifici per i giovani) poiché Expo 2015 è uno splendido strumento per approfondire cultura alimentare e gastronomia che affondano le radici nella storia e nelle tradizioni di ogni popolo e che incidono sulla salute dell’uomo rappresentando spesso un’alternativa preventiva alle medicine. Come tutti gli strumenti, però, è compito di chi li utilizza farlo al meglio. Se i ragazzi porteranno a casa solo il ricordo di una gita e dell’inevitabile confusione di un’esposizione affollata, non si diano agli organizzatori le colpe della propria inefficienza.
Non si può concludere questa prima esplorazione sull’Expo 2015 senza raccomandare di fare qualsiasi sforzo per visitarla e non perché un po’ pomposamente e con retorica “si perde un appuntamento con la storia” come hanno detto alcuni, ma perché l’appuntamento lo si perde con se stessi: solo i più giovani probabilmente avranno la possibilità di vivere un’altra esposizione universale, cioè un’esperienza culturale a 360° unica, diversa da ogni tipo di salone tematico o generalista e fino ad oggi non sostituibile con nessun sistema informatico.