Le Langhe: piedi nella tradizione, occhi puntati al futuro

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È bello vagabondare nelle Langhe tra panorami affascinanti per le vigne arrampicate sulle colline con graziosi borghi e antichi campanili che svettano nell’indescrivibile sinfonia dei colori autunnali. Non a caso questo territorio a cavallo tra Asti e Cuneo è dal 2014 (insieme a Roero e Monferrato) inserito tra i siti Unesco Patrimonio dell’Umanità

Ne è cuore Alba – richiamo irresistibile per chi ama il “bien vivre” – con la sua piacevole urbanistica, gli antichi palazzi, la composita architettura delle chiese, le torri (ne sono rimaste tre delle molte per cui era definita “città dalle 100 torri”), “Alba sotterranea” e la splendida cucina (bisogna essere decisamente scalognati per trovare un locale in cui non si mangi bene) – langarola più che piemontese – accompagnata da una gamma di vini invidiata da tutto il mondo.

In autunno è un fiorire di manifestazioni in cui cultura, gastronomia e vini offrono l’occasione per trascorrere weekend indimenticabili: I grandi terroir del Barbarescosimpatica e interessante iniziativa (dovuta a Go Wine) per approfondire la conoscenza di questo grande rosso frutto di un vitigno, il Nebbiolo, che in purezza o in blend dà vita a una parte non indifferente del Gotha dei vini italiani – ha rappresentato l’autogiustificazione per trascorrere un weekend gourmet. La concomitanza con il primo week end della 93ª Fiera internazionale del Tartufo Bianco d’Albache con il suo profumo fa inebriare e gioire anche chi la frequenta solo per sognare – ha donato ad Alba un’atmosfera che definire festosa  è riduttivo.

Nelle sale dell’ottimo hotel Calissano – le fondamenta (quasi conferma della simbiosi della città con il vino) sono nelle antiche cantine dell’omonima azienda fondata da Luigi Calissano nel 1872 e nota per la produzione insieme ai classici vini langaroli del vermouth o vèrmot come era chiamato a Torino dove era stato creato nel 1786 – ho ritrovato  nel pellegrinaggio tra alcuni dei migliori Barbaresco in produzione l’elegante Pajorè 2020 Cantina Piazzo che avevo scoperto nello scorso Vinitaly e mi aveva colpito per la coerenza qualitativa e territoriale. Accanto al Pajorè ho degustato il Nervo Vigna Giaia Riserva (annata 2016), un vino di grande struttura e persistenza, ulteriore testimonianza (secondo una mia sensazione) della particolare vocazione della Cantina a valorizzare le peculiarità del territorio mediante i cru.

Il livello delle degustazioni e il ricordo del necessariamente fugace (per la pressione degli operatori italiani ed esteri) incontro al Vinitaly mi ha indotto a dedicare parte del mio soggiorno albese a visitare l’Azienda Vitivinicola Piazzo a San Rocco Seno d’Elvio, ridente frazione a pochi chilometri da Alba. Più dell’incontro con i vini mi interessava quello con i proprietari per conoscerne la filosofia e verificare le mie intuizioni.

In quei magici anni ’60 in cui si respiravano ottimismo e fiducia nel futuro, Gemma Veglia e Armando Piazzo sposati da poco avevano un sogno: costruire un futuro migliore per la loro famiglia. A differenza di tanti non hanno avuto paura di rischiare i risparmi di anni di duro lavoro per realizzare un’intuizione che lasciava scettici specialmente gli anziani: legare il proprio futuro al mondo del vino e a una viticoltura rivoluzionaria. Per capirne il coraggio bisogna ricordare che in quel periodo le Langhe erano ben lungi dall’essere quella “perla” conosciuta in tutto il mondo per vini e gastronomia, anzi era una terra – come narrato da Beppe Fenoglio nello struggente romanzo “La Malora” – da cui scappare per la crisi di un mondo contadino  diffidente verso le novità e alla ricerca del massimo sfruttamento della terra: si pensi che spesso nei vigneti si praticava il “rigadin”, cioè in un interfilare di due consecutivi si seminava.

Si può immaginare come fossero giudicate le idee di quel giovane che rivoluzionava il modo di impiantare un vigneto e puntava sulle uve nebbiolo mentre il mercato suggeriva dolcetto e barbera. Armando Piazzo sapeva coniugare futuro e tradizione e individuare chi aveva le qualità per proseguire e sviluppare la propria creatura. Così quando la figlia Marina sposa Franco Allario, capisce che Marina e Franco avrebbero fatto raggiungere all’azienda mete sempre più ambiziose avendo recepito lo spirito suo e di Gemma: occhi puntati al futuro, piedi nella tradizione. I vigneti negli anni si sono moltiplicati (raggiungendo i 70 ettari vitati) intorno alla cantina e nei comuni di Mango, Neviglie, Guarene e Novello secondo il principio che ogni vino va prodotto nella zona più vocata. Il debutto sul mercato avviene nel ’79 con un Barbaresco cui seguiranno Dolcetto d’Alba e Barbera d’Alba e nel 1985 il Barolo.

Cuore e cervello dell’azienda sono a San Rocco Seno d’Elvio dove negli anni la cantina viene ampliata e dotata delle tecnologie più attuali, ma in cui vino e calore umano non cedono il passo alla superficialità delle apparenze: è in quest’accogliente nicchia di umanità che – dopo un’affascinante passeggiata tra filari di Nebbiolo, Moscato e Merlot – si conclude con l’assaggio di alcune delle 18 etichette questa gratificante esperienza.

Il percorso inizia con l’ultimo nato: l’Alta Langa Docg BrutRitorno in” un metodo classico (ottenuto da Pinot Nero e Chardonnay) di grande eleganza e finezza sia al naso sia in bocca in cui il bel corpo non è disgiunto da piacevole freschezza. Il nome è un richiamo alla terra natale (San Bovo, frazione di Castino in Alta Langa) di Armando Piazzo così come l’elegante “MasSim” è sintesi dei nomi di Marco e Simone (i figli di Marina e Franco). Si tratta di un metodo classico (raffinato il perlage), perfetto connubio tra la struttura e l’austerità del Nebbiolo e le note fresche e fruttate dello Chardonnay. Gli spumanti sono gli unici vini non ottenuti da una vinificazione in purezza.

Langhe Doc Chardonnay “Strangè” e Merlot “Terabianca” testimoniano che vitigni estranei alla tradizione piemontese se coltivati in terreni appropriati e vinificati con tecniche mirate danno vita a vini di spiccata personalità che, pur esprimendo il terroir delle Langhe, competono con i migliori prodotti delle aree di elezione.

Con il Merlot ho iniziato un viaggio tra i vini rossi, in particolare tra i vitigni che hanno fatto la storia delle Langhe: dal Dolcetto che si esprime al meglio nel cru “Scaletta” alla Barbera d’Alba “Mugiot” frutto di una selezione di uve che produce un vino particolarmente longevo, alla Barbera d’Alba “Fil Rus” che nasce dall’assemblaggio di uve Barbera di Langhe e Roero dando vita a un vino che esprime l’essenza delle due sponde del Tanaro e, infine, al Nebbiolo, il protagonista della storia della Cantina. Il percorso tra le sue espressioni inizia con “Aiman”, un vino molto raffinato, elegante e morbido, e prosegue con i Barolo e i Barbaresco.  Dei tre Barolo ho scelto “Sottocastello di Novello” di cui ho visitato lo splendido vigneto arrampicato sulla collina in posizione ottimale per esprimere le virtù del vitigno: il vino di questo cru negli anni più promettenti dopo sei anni d’invecchiamento diviene Riserva, una gioia per la vista e ancor più per il naso e la bocca. 

Non posso concludere la degustazione senza la riedizione di quel Barbaresco che nel 1979 inaugurò un susseguirsi di successi: “Argè”, un Barbaresco della tradizione – che anche nel nome (le iniziali di Armando e Gemma) riassume la storia dell’azienda – frutto delle uve di vigneti di due zone (San Rocco Seno d’Elvio e Treiso) vicine e diverse, ma che nell’assemblaggio danno vita a un vino di grande equilibrio caratterizzato da un profumo complesso, da tannini moderati e da una lunga persistenza aromatica.

Tralascio per motivi di personale “equilibrio” altri assaggi tra cui gli altri tre Barbaresco e il “Cicheta”, un Moscato Bianco ideale – mi assicurano – come vino da dessert e con rincrescimento saluto i cortesissimi padroni di casa portando in me il ricordo di una famiglia che ha fatto della convivialità insita nel vino e della semplicità la stella polare della propria vita. E mentre mi dirigo verso Treiso per l’importante appuntamento con ottimi Agnolotti del Plin e con due semplici uova fritte con abbondante tartufo bianco (siamo pur sempre ad Alba), ho la certezza di avere visitato una Cantina i cui protagonisti sono i vini con la loro qualità e il fondamentale legame con il territorio.