In Collio ovunque l’occhio volga lo sguardo vede splendidi e curatissimi vigneti testimoni della passione verso un’attività vissuta soprattutto come missione e dell’amore profondo che lega i vignaioli alla natura, onorata creando un paesaggio ineguagliabile. Senza il supporto di un’assidua frequentazione del Vinitaly, sarebbe molto difficile scegliere tra le circa 80 Cantine sparse sugli oltre 1.500 ettari vitati senza abbandonarsi al caso.
La memoria mi porta da Pighin che al Salone mi ha incuriosito con vini ottenuti dallo stesso vitigno coltivato in tenute inserite in DOC diverse anche se vicine: Doc Collio per i terreni a Spessa di Capriva sulle colline del Collio goriziano – tra le zone più vocate alla coltivazione della vite (esistente già in epoca preromana) – e Doc Friuli Grave (le ‘grave’ sono i ciottoli arrotondati dalla millenaria erosione dei fiumi Meduna, Cellina e Tagliamento che attraversano la pianura di origine alluvionale) per quelli a Risano. Affascinanti entrambe le tenute: la prima è circondata dalle viti che disegnano i gradoni di un anfiteatro naturale, in quella di Risano i vigneti sullo sfondo magnifico delle montagne circondano la secentesca villa veneta sede di rappresentanza dell’Azienda. Pinot Grigio, Sauvignon, Chardonnay, Ribolla gialla, Friulano e Merlot sono stati i protagonisti di una degustazione comparata in cui si sono evidenziate le singole peculiarità lasciando al gusto personale l’assegnazione della palma del preferito. Preferito e non migliore perché la qualità è alta per tutti come testimonia la ricca collezione di premi nazionali e internazionali vinti sia dai figli del Collio sia da quelli del Friuli Grave. Le differenze sono dovute ai territori: equilibrati, freschi e mai eccessivamente corposi i vini nella DOC Friuli Grave, sapidi, strutturati, profumati e longevi nella DOC Collio. Restano nel ricordo anche la splendida Malvasia, il pluripremiato Pinot Bianco e il gran finale con il Picolit accompagnato da un’indimenticabile Gubana, il rotolo di pasta sfoglia ripieno di frutta secca, uvetta, cedro candito, pinoli e noci.
Lasciamo Capriva non senza un’ultima occhiata al bel Castello di Spessa, maniero del XIII secolo (sorto su precedenti insediamenti militari romani e longobardi) dal ’500 dimora della nobiltà friulana (nel 1773 vi soggiornò Casanova – che ne amò molto i vini – ora ‘nume’ del bistrot) e oggi romantico Golf & Wine Resort in cui l’ottima cucina gareggia con i vini del Castello di Spessa già famosi a metà trecento. Interessante la visita alle cantine medievali. Da qui ci dirigiamo verso San Lorenzo Isontino dove ci attende l’ultima tappa di questo (purtroppo) breve percorso tra vini e vignaioli friulani: Lis Neris, una delle più antiche cantine di questa fantastica terra: Alvaro Pecorari – cuore e mente di questa bella realtà – ne vive con la consueta semplicità e ritrosia il 140° anniversario.
Siamo tra il confine sloveno e la riva destra dell’Isonzo, in un paesaggio dominato da vigneti che quasi nascondono paesi e borghi rivelati da svettanti campanili e in cui le particolari condizioni geologiche e climatiche creano vini potenti ma di grande eleganza. Al recente Vinitaly avevo degustato il Pinot Grigio in diverse declinazioni (monovitigno o in blend con altri vitigni come per Lis e Confini) e annate: inutile quindi riassaggiare l’ottimo Pinot Grigio o lo strabiliante Gris il cui invecchiamento potenziale è di 20 anni: eccezionale per un ‘bianco’, ma non per questa Cantina. Mi sono impegnato a verificare le caratteristiche dell’annata 2018, in Friuli ottima per i bianchi, tra due decenni!
Tradizionali, Selezioni e Riserve sono le tre linee ed esprimono sempre il principio del “vino come specchio dell’ambiente in cui nasce”. Tra i Tradizionali (vini ottenuti dai vigneti più giovani) ho scelto Fiori di Campo (cuvée di tre vitigni complementari), un vino senza eccessi ma molto intrigante per la grande complessità e profondità aromatica e BBK ottenuto da uve tipiche slovene coltivate in tre villaggi (Barbana, Biljana e Kozana) nella miglior zona vinicola della Slovenia: un vino fresco, fragrante, delicato e avvolgente, assolutamente gradevole. In Selezioni – vini provenienti da uve di vigneti storici, tutti con grande ampiezza aromatica – ho scelto Picol, vino di grande profondità e personalità che propone un’interpretazione ‘friulana’ del Sauvignon Blanc, e La Vila, espressione fedele e non elaborata del vitigno, sintesi di freschezza, morbidezza e grande eleganza: in verità tra i migliori Friulano degustati.
Tra le Riserve – vini unici (ottenuti dall’assemblaggio di diverse varietà) per qualità e capacità di esprimere l’equilibrio tra vitigno e terroir – ho scelto Lis Neris (Merlot e Cabernet Sauvignon in piccole percentuali), un vino caldo dai tannini raffinati, buon corpo, equilibrato e con una personalità che sposa la ‘friulanità’ alle caratteristiche bordolesi e Tal Lùc (Verduzzo e piccole percentuali di Riesling): un grandissimo vino dolce, non stucchevole grazie all’equilibrio tra dolcezza, mineralità e sapidità e con un ampio spettro di aromi tipicamente mediterranei: a livello dei migliori ‘dolci’ esteri.
Il ricordo della cucina del Collio e dei suoi ottimi e intriganti piatti sintesi di culture antiche e diverse, con ricette tramandate di generazione in generazione, aleggiava con malinconia sulla via del ritorno mentre una golosa memoria citava il prosciutto cotto nel pane e spolverato di cren grattugiato, le gustosissime minestre, gli squisiti gnocchi di pane o di susine, il brodo abbrustolito, le frittate con le erbette di stagione, il frico, i ćevapčići, la štakanje e tra i dolci, oltre alla gubana, le šnite, gli strucchi (bolliti o fritti), la torta Dobosch e le palacinke. Piatti che per essere conosciuti negli aspetti più genuini è bene gustarli nelle trattorie e non nei ristoranti chic o alla moda (costa anche meno).
Il ‘pellegrinaggio goloso’ tra le eccellenze del Collio non poteva ignorare D’Osvaldo, un piccolo produttore artigiano di Cormòns. È il 1940 quando il padre degli attuali proprietari decide di affiancare alla macelleria una piccola produzione di prosciutti applicando antiche ricette a selezionatissime cosce di suini allevati in Friuli. Oggi come nel 1940. Siamo stati fortunati avendo ancora trovato il Prosciutto crudo dolce (una delizia per morbidezza e dolcezza) che come lo splendido e originale Prosciutto leggermente affumicato è disponibile da ottobre a fine agosto. L’affumicatura è particolare: realizzata solo con legni di ciliegio e alloro, è delicatissima al palato e non invasiva sul dolce della carne. Utilizzata in tutta la gamma (lardo, pancetta, filone, guanciale e speck) come una bacchetta magica dona sentori da fiaba.
Cormòns, base militare in epoca romana, sede per più di un secolo nell’Alto Medioevo dei Patriarchi di Aquileia, contesa per la sua importanza strategica tra Gorizia, Patriarcato di Aquileia e Venezia trova pace quando – facendo parte della Contea di Gorizia – è annessa (XVI secolo) all’Impero Asburgico. La storia non passa invano e Cormòns conserva ancora forti caratteri mitteleuropei nell’urbanistica, nella mentalità e nella cultura anche gastronomica, peraltro assolutamente degna di essere assaporata: unico per le sue fragranze (quando si ha la fortuna di trovarlo) il radicchio rosso ‘Rosa di Gorizia’. Tra i molti luoghi di notevole importanza storico-artistica il poco tempo disponibile ha concesso: il palladiano Palazzo Locatelli (sede del Comune, dell’Enoteca cittadina e del Museo Civico del Territorio), il Duomo di Sant’Adalberto e la Casa dell’antica Pieve che ospita il Museo del Duomo.
Lasciata questa bella cittadina di stampo asburgico, abbiamo raggiunto la Cantina Cormòns per sentirci ‘importanti’ gustando il Vino della Pace, che ripropone un vino creato in passato come messaggio di fratellanza tra i popoli e realizzato con uve di una vigna denominata ‘Vigna del Mondo’. Dall’attuale assemblaggio (malvasia, ribolla gialla, friulano, pinot bianco e chardonnay) è nato un ottimo vino morbido, rotondo e di grande freschezza: gustandolo ci siamo chiesti quanti lo meritano tra i Capi di Stato cui, secondo tradizione, è inviato.
Ed eccoci all’ultima tappa (già fuori dal Collio) di questo tour splendido e indimenticabile: Aiello del Friuli. È definito Paese delle Meridiane perché su molti edifici privati e pubblici sono installati esemplari di vario genere, bellezza e complessità di quest’antico strumento che misura il tempo basandosi sulla posizione del sole. Il tempo scorre da sempre allo stesso modo, ma scandito dalla meridiana sembra scorrere con un ritmo più umano, più simile forse a quello degli uomini dell’età del bronzo che – come testimonia il Castelliere in località Novacco – vi abitavano in epoca protostorica. In questa stessa località si può ammirare quello meglio conservato tra i Mulini di Aiello (notevoli per architettura).
Dopo un rapido sguardo alle imponenti ville nobiliari d’epoca imperiale e per i particolari pregi storici e artistici alla cappella di San Nicolò (una delle molte presenti nella cittadina e nel suo hinterland) che faceva parte della Pieve originaria di Aiello, evitando di farsi tentare dal medievale Castello di Lontana e dall’antica Centa medievale (complesso fortificato in cui si è scoperta anche una necropoli probabilmente dell’XI secolo), puntiamo sul vicino casello di Palmanova iniziando il ritorno a casa.