Al Teatro Comunale Mario del Monaco di Treviso, sabato 25 settembre 2021, si svolgerà la cerimonia pubblica del ‘Premio Goffredo Parise per il Reportage’, giunto alla quinta edizione.
Siamo grati ad Antonio Barzaghi e a Maria Rosaria Nevola che l’hanno ideato e organizzato, strutturando un evento straordinariamente articolato e fecondo, che ha saputo catalizzare le forze dell’associazionismo e dell’Amministrazione locale intorno alla figura di questo importante giornalista e scrittore. Partner del premio è stavolta il Soroptimist International – Club di Treviso. Il premio ha come Presidente Andrea Favaretto, Sindaco del Comune di Salgareda, mentre Presidente onorario è l’artista Giosetta Fioroni, celebre pittrice romana, compagna di Parise dal 1964 fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1986.
Lo scrittore merita di essere letto e riscoperto: agli esordi Giovanni Comisso dichiarò che per lui era “l’atteso”. Dalla natìa Vicenza, Parise, animo inquieto attivo come giornalista e narratore fin dall’inizio dei suoi vent’anni, si trasferì a Milano, nel 1952, e qui giunse il suo primo vero successo con Il prete bello. Così gli si dischiusero le porte dei periodici più importanti: uno per tutti, il “Corriere della Sera”, di cui fu collaboratore e inviato speciale per trent’anni, e raggiunse la fama, ma a modo suo, scrivendo intensi reportage dei luoghi in cui imperversavano i conflitti, le carestie, dove il terzo mondo e non solo si offriva al suo sguardo profondo e indagatore: sulle linee di fuoco del Vietnam, in Biafra, in Cile, a Cuba, in Albania, in Siberia. E in Cina, da cui i reportage e gli articoli della raccolta Cara Cina, tra i più celebrati. Ovunque e sempre libero nelle opinioni, impossibile da catalogare nelle categorie politiche di destra o di sinistra, con buona pace di chi lo criticò ora da una parte, ora dall’altra. Nella primavera del ’60 Parise decise di lasciare Milano per superare una sottile uggia che lo tormentava. Si trasferì a Roma, aveva trent’anni. Nella capitale incontrò gli intellettuali che animavano gli ambienti letterari e strinse amicizie che durarono tutta la vita con Montale, Piovene e Moravia; e con Carlo Emilio Gadda, suo vicino di casa.
Poi conobbe insieme a Giosetta Fioroni i pittori della Scuola di Piazza del Popolo: Tano Festa, Mario Schifano e Franco Angeli, quelli che furono considerati la versione italiana della Pop art di Andy Warhol. I loro lavori sono appesi alle pareti della sua ultima dimora a Ponte di Piave e nella cosiddetta Casa delle Fiabe di Salgareda, lontano dagli anni tumultuosi di Roma e delle frequentazioni dei salotti, dall’intelligentia colta, interessante e talora un po’ snob. Lui che veniva dalla chiusa provincia bigotta del Veneto, visse anche a Parigi, a New York, conobbe alternata al benessere durante i suoi viaggi la miseria e la tragedia inesorabili che ferirono il suo animo sensibile, lo appesantirono. Fu crudo e realista nei reportages, la vena ironica spesso esibita, ma nel fondo inguaribilmente poeta. Anche per una sua ricerca formale volta sempre più ad asciugare l’espressione fino all’essenzialità, la parola si fa strumento di una comunicazione diretta ed evocatrice, tale da rendere poetiche le sue prose, fin dai primi saggi di scrittura.
Finchè volle tornare a “casa”. Ci pensava da tempo quando nell’estate del 1970, cavalcando lungo il Piave con l’amico Guido Carretta, scoprì a Salgareda una casetta in mezzo ai gelsi, e la acquistò. Ora ci accoglie ospitale, grazie alla disponibilità dell’attuale proprietario Moreno Vidotto. La piccola casa è rimasta intatta e sobria, con la citazione del letto di Tolstoj costruito a castello sulla scala, con gli arredi semplici, belli.
Impoverita dall’alluvione del 2018, che qualche elemento si è portata via, ha mantenuta identica la sua atmosfera: qui il cespuglio di rose davanti alla facciata rivive grazie alle cure di Claudio Rorato, fratello di Omaira, l’ultimo, giovane amore cui Goffredo si congiunse in questa nuova sua culla e dimora, quando venne qui a ristorarsi dalle fatiche del vivere. Nel piccolo paradiso che si era allestito lo scrittore visse dodici anni. Tra il ’71 e l’82 vi scrisse i due Sillabari, racconti brevi sui sentimenti umani, che quell’anno gli valsero il Premio Strega e anche il premio selezione Campiello. Sono fiabe minimaliste che hanno per protagonisti gli abitanti di quel piccolo mondo antico dove era tornato con nostalgia.
Quando prematuramente si ammalò di cuore, lui che amava la vita dinamica e lo sci (frequenti i soggiorni a Cortina d’Ampezzo), dovette trasferirsi nell’abitato di Ponte di Piave. Incurante della salute sempre più malferma, vi formò un altro capolavoro di architettura d’interni, di un gusto squisito, lasciandovi un’impronta inconfondibile ed estrosa per la scelta dei materiali; e confortevole, mentre le grandi vetrate del soggiorno dialogano con l’esterno. La casa è un vero testo di stile rappresentativo dell’estetica del suo più intenso e felice trentennio della maturità. Il paese saggiamente l’ha cristallizzata, trasformandone solo una parte in biblioteca. Appassionata e dotta è la guida del bibliotecario, che ci spiega lo scrittore nel suo ambiente domestico a Ponte di Piave, nell’armonica interazione con la giunta comunale coordinata dal Sindaco Paola Roma.
Tra Parise e quei fortunati paesi da lui scelti come famiglia si è creata così una simbiosi: lui li ha adottati e loro ne hanno fatto un mentore, moltiplicando le iniziative ispirate dalla sua persona nella direzione da lui indicata.
E’, in particolare, tutto da delibare il “Giornale di poesia sotto i gelsi” quattro facciate di grande formato che raccolgono “i frutti dell’ultima edizione della rassegna” nell’attigua Salgareda; iniziative letterarie di intima raffinatezza, organizzate nel prato davanti alla Casa delle Fate, circondata di verde, i salici piangenti in lontananza. Il numero unico di questo periodico pubblica un intervento di Giosetta Fioroni, custode della memoria di Goffredo Parise, per quel prolungarsi degli affetti che travolge le definizioni, le sovrasta.
Lì molto vicino scorre il Piave: non ci sono recinzioni, la terra è aperta, pronta al suo abbraccio che si verifica nelle periodiche piene, come quella che riempì d’acqua la Casetta di Parise or sono tre anni. E a noi forestieri spaventa. Ma abbiamo rivalutato il fenomeno quando l’agricoltore Luigi Bonato ci ha mostrato le sue antiche vigne, distese in fondo all’argine, e ci ha spiegato: “Il limo del fiume concima la terra: è l’effetto Nilo”.
Bisogna andare in cerca di Goffredo Parise nella ‘Marca trevigiana’, sua Patria di elezione. Visitando luoghi incantevoli dal punto di vista architettonico e naturale, borghi tra i più belli d’Italia, ricordiamo almeno Porto Buffolè, caro allo scrittore.
Abbiamo provato ancora l’accoglienza degli abitanti nei deliziosi B&B, la loro operosa, instancabile cura per le tradizioni e il territorio; i cibi, i vini; il Prosecco! Ci torneremo per la Cerimonia del Premio intitolato a Parise; e, almeno col pensiero, quando avremo voglia di pace.
Il Prosecco e la Marca Trevigiana
La storia del Consorzio e della Doc Prosecco risalgono al 1962 quando 11 produttori costituiscono il Consorzio di Tutela di Conegliano e Valdobbiadene. A questa prima pietra seguì la Doc che arrivò anni dopo. Quindi l’idea vincente si concretizzò nei primi mesi del 2000: l’obiettivo era di collegare 9 province del Triveneto allargando la Doc e istituendo due Docg: la Prosecco Valdobbiadene e quella Asolo.
La Marca trevigiana oggi rappresenta un terroir tra i più fortunati del Veneto e del nostro Paese, sia in termini di produttività che di tenuta dei posti di lavoro. E il merito non va al tessile che ha subito pesanti perdite e chiusure di brand importanti ma alla fortunata scelta di puntare tutto non tanto genericamente sui vini ma soprattutto su uno di essi, il Prosecco!
Esperienza e innovazione nelle cantine Maschio
L’incontro con Gabriele Cescon presso le Cantine Maschio è di quelli che non si dimenticano, sia per la professionalità del Direttore che è altresì un importante enologo, sia per la sua piacevole approccio con chi si occupa di vini e di Prosecco in particolare. “La pandemia ci ha obbligato a consumi più consapevoli – afferma Gabriele Cescon – la gente si è documentata meglio ed ha approfondito, scegliendo sostanza e qualità”. Il successo mondiale di queste bollicine che piacciono ad un’ampia fascia di pubblico, femminile e maschile, continua a crescere in modo esponenziale ma non stupisce quanta sia la professionalità che sta dietro a tale successo. E non è un caso che oggi le Cantine Maschio – che oggi fanno parte del Gruppo Riunite & CIV, sono leader in Italia per la produzione di vini frizzanti: se il Prosecco rappresenta il core business, l’azienda resta – a dispetto della sua storia che ha visto proprietà estere a livello mondiale ed ora un grande gruppo italiano ad averne la proprietà – radicata sul territorio e sui vitigni autoctoni o tradizionali locali quali il Verduzzo, lo Chardonnay, primo vino frizzante ad essere distribuito nella GDO (la grande distribuzione), l’Incrocio Manzoni in versione spumante, ecc.